Il valore simbolico degli oggetti.
“Parlare di natura morta è un controsenso: la natura per sua definizione è infatti viva, ma diventa morta quando la si toglie dal suo habitat (il fiore reciso dalla pianta, la frutta colta dall’albero). L’artista compie quindi una sfida: ritrae un fiore destinato a morire e così lo rende eterno. La sua bravura consiste nell’ingannarci, facendoci apparire come veri e vivi oggetti inanimati”
E’ nell’Europa del Nord che la natura morta diventa uno dei temi preferiti dalla pittura fiamminga e tedesca. La religione protestante, diffusasi in questi paesi, vietava infatti di ritrarre Cristo, la Madonna e i Santi. È perciò che in questa zona, ricca di artisti eccezionali, ebbero tanto successo i generi cosiddetti minori, come il paesaggio, il ritratto e la natura morta. Lo stile degli artisti del Nord (basta pensare a Jan Vermeer), così limpido, realistico e accurato, sembrava del resto fatto apposta per ritrarre in modo quasi ingannevole la realtà naturale.
In Italia il primo e più importante autore di nature morte è Caravaggio. Egli eseguì la celebre Canestra di frutta intorno al 1596: un dipinto che raffigura mele, pere, uva e melograni con una forza e una concentrazione tali da far sembrare la canestra un ritratto umano. Questa è l’unica natura morta conosciuta dell’artista, ma in altri dipinti egli inserì vasi di fiori, strumenti musicali e ceste di frutta ritratti con la stessa cura e la stessa importanza riservate alla figura umana (per esempio nel Suonatore di liuto).
Lavorare in studio per ricreare una luce che permetta con i chiari e scuri di dare corpo all’immagine, renda piena e fresca la natura. Un viaggio tra cose piccole che diventano protagoniste, alla riscoperta delle parti in ombra e delle parti in luce.